domenica 22 giugno 2008

«Così sono sopravvissuto all'eccidio di Cefalonia»

il Centro — 22 giugno 2008 pagina 01 sezione: CHIETI


FILETTO. Dopo 65 anni Filetto l’ha abbracciato, con la simpatia e la comprensione dovute a un incolpevole condannato alla pena capitale, infine graziato da un errore del plotone di esecuzione. Il dramma a lieto fine di Salvatore Di Rado, reduce miracolato dell’eccidio di Cefalonia, è ritornato alla popolarità cinque anni dopo la scoperta della singolare storia del giovane soldato della divisione Acqui del Regio esercito massacrata dai tedeschi nel vortice che seguì all’8 settembre 1943, il giorno dell’armistizio. Nel 2003 la rese pubblica per la prima volta lo scrittore Emiliano D’Alessandro, filettese doc, e l’allora presidente Carlo Azeglio Ciampi nominò Di Rado cavaliere della repubblica. L’altro ieri sera, è stata la volta del romanzo «La collina dei fuochi fatui», nato dalle interviste che portarono alla luce la rocambolesca salvezza di Di Rado, il protagonista del volume edito da Solfanelli di Chieti. Con la presentazione del libro all’ex Sepolcro, il paesino ha conosciuto nel 92enne concittadino un uomo dai trascorsi passati per il crocevia della storia italiana del XX secolo, «un filettese importante forzato al silenzio dall’indifferenza che ha circondato fatti e persone al centro delle sofferenze recate dall’ultimo conflitto mondiale», ha spiegato D’Alessandro, esordiente ma già «caso» editoriale nazionale per aver rappresentato i fatti di Cefalonia con la formula del romanzo storico. L’accoglienza a Di Rado l’ha preparata il Comune con atmosfere dei tempi di guerra e letture con sottofondo di chitarra dei comunicati radiofonici dall’arresto di Mussolini all’annuncio dell’armistizio intercalati con pagine scelte del romanzo, un’idea dell’assessore alla cultura Severino Ranieri messa in scena dalle musiche di Marco Tartaro con le voci di Francesca De Vincentiis e Andy Micozzi. L’autore e l’editore, Marco Solfanelli, hanno commentato insieme al vice sindaco Manola Rosato il quadro storico e letterario del romanzo, ma il protagonista è stato lui, per tutti il Salvatore di sempre ma da oggi con un inatteso carico di sofferenza che nel racconto ha finalmente trovato sfogo. «A Berlino, dopo la guerra, il processo ai criminali che decisero di sterminarci finì con una sentenza incredibile: noi eravamo traditori e vigliacchi, per aver puntato le armi contro i nostri alleati», ha detto agitando le mani nodose, segno di una vita trascorsa al lavoro nei campi. E in Italia ci è andata forse peggio, perché lo Stato non ha ancora, se mai lo farà, riconosciuto la nostra azione di guerra, l’attacco ai tedeschi dopo il proclama di Badoglio. Le associazioni, compresa quella della divisione, per decenni hanno raccolto denaro per i monumenti alla memoria senza però fare niente per riabilitare la nostra dignità di combattenti e patrioti», ha urlato tra gli applausi in sala. Un cenno alla copertina di Tanino Liberatore, l’abruzzese oggi nel gotha francese del fumetto e della grafica, l’ex soldato l’ha fatto ricordando con crudezza il silenzio seguito alle raffiche delle mitragliatrici tedesche. «Mi drizzai tra i cadaveri dei miei compagni e scoprii che ero vivo tra montagne di corpi qua e là, e un odore di sangue. Voi non potete sapere cosa significa, ma io oggi sto vivendo tutto quello di cui stiamo parlando, e che nel libro è descritto per filo e per segno». Compreso il viaggio interminabile della pallottola destinata al soldatino miracolato, un fermo-immagine di parole che apre il romanzo.

Francesco Blasi

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