venerdì 23 ottobre 2009

Presentazione a Guardiagrele (CH), Domenica 25 Ottobre, ore 22,00

RASSEGNA DELL'EDITORIA ABRUZZESE
Guardiagrele (CH) - 23-24-25 Ottobre 2009

Domenica 25 Ottobre - ore 22.00


Presentazione dei libri

IL COLORE DEL CAFFÈ di Arturo Bernava
Presenterà Marco Tornar

LA COLLINA DEI FUOCHI FATUI di Emiliano D’Alessandro
Presenterà Francesco Blasi

Edizioni SOLFANELLI


Informazioni:
ASSOCIAZIONE EDITORI ABRUZZESI
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Segreteria di redazione: Ida Evangelista
Coordinatrice: Piera De Angelis

martedì 31 marzo 2009

La collina dei fuochi fatui: Recensione di Gian Paolo Grattarola (Mangialibri.com)

Sono trascorsi oltre sessant’anni da quei fatidici giorni. Oggi Salvatore Di Rado è un uomo avanti con gli anni, con un’espressione sorniona e serena, un sorriso eccentrico stampato sul volto. Vive insieme con la moglie ritirato nella campagna abruzzese dove l’oggi è costituito, più che da eventi reali, da un intersecarsi di ricordi di cui non si è mai liberato. Il pesante fardello di un veterano di guerra, spedito sul fronte greco nel ’37 e rientrato nel ’44, che è stato testimone diretto di una delle pagine più dolorose della storia d’Italia, quella relativa alla strage di Cefalonia. Passato per le armi, ma miracolosamente sopravvissuto ad una fucilazione da parte dell’esercito tedesco, Salvatore avverte ora l’incombente necessità di rendere noti fatti troppo a lungo occultati. Quel giovane cronista locale, alla ricerca di maggiore visibilità professionale e che siede alla sua tavola, gustandosi le succulente portate cucinate dalla moglie e del buon vino prodotto in casa, costituisce l’opportuna cassa di risonanza per lasciare affiorare spezzoni inediti di una dolorosa vicenda storica tutt’ora non chiarita….
Pur rivelando elementi nuovi e un’inedita chiave interpretava, La collina dei fuochi fatui non è un trattato storico e non intende accreditarsi come un autorevole contributo al dibattito storiografico, ancora aperto, sulla tragica vicenda di Cefalonia, stupenda isola della Grecia, dove migliaia di valorosi soldati italiani furono massacrati senza pietà dopo la resa, dalle truppe tedesche, in seguito alla firma dell’armistizio dell’8 settembre del 1943. Ma è piuttosto un appassionante libro di memorie, che il giornalista abruzzese Emiliano D’Alessandro raccoglie da un vecchio superstite che ne fu vittima, trasponendole in un romanzo asciutto e scorrevole che si legge tutto d’un fiato. Il lettore entra nella storia e si lascia catturare dall’atmosfera coinvolgente di un racconto che riesce a trasmettere tutto nel modo giusto: odori, sapori, emozioni. D’Alessandro costruisce dunque un romanzo serrato che unisce alla precisione della ricostruzione storica, la capacità di scandagliare la sofferta umanità di un personaggio sopravvissuto ad un tragico destino.

Gian Paolo Grattarola

http://www.mangialibri.com/node/4003

lunedì 5 gennaio 2009

RECENSIONE di Francesca Molinaro (Bottega scriptamanent, gennaio 2009)

L’isola di Cefalonia, la strage dell’Acqui: in 12mila muoiono, due soli i superstiti

di Francesca Molinaro 

Incredibile storia di Salvatore Di Rado un sopravvissuto al massacro greco; reportage intenso, edito da Solfanelli


21 Settembre 1943, uno dei tanti giorni della Seconda guerra mondiale, ma per Salvatore Di Rado è il giorno del suo “nuovo” compleanno, il giorno in cui lui e i suoi compagni della Divisione Acqui vengono fucilati sull’isola di Cefalonia, in Grecia. È questo il cruento incipit del libro La collina dei fuochi fatui(Solfanelli, pp. 160, € 12,00), scritto con realismo e passione dal giornalista e scrittore  Emiliano D’Alessandro. Perché il titolo parla di fuochi fatui? Questi ultimi sono delle piccole fiamme che appaiono talvolta nei cimiteri, dovute alla spontanea accensione di prodotti gassosi proprie della decomposizione dei cadaveri. In questo caso non ci si trova in un vero e proprio cimitero, ma sull’isola di Cefalonia, ribattezzata “l’isola della morte”, in cui nel 1943 morirono migliaia di “quelli che furono considerati traditori” italiani, fucilati dall’esercito tedesco, dopo la fuga, l’8 settembre, dei reali italiani. Quelle stesse fiammelle appaiono al giovane giornalista che, dopo oltre sessant’anni da quel terribile giorno, intervista uno dei pochi sopravvissuti, Salvatore Di Rado nella sua casa in Abruzzo. Il giovane giornalista parte da casa con l’intenzione di fare la sua intervista e “via”, un paio d’ore con un vecchietto, nella speranza che ricordi ancora tutto. E invece le cose vanno diversamente, le due ore diventano ben presto una lunga notte fredda e ricca di fuochi fatui, dove l’anziano si dimostra essere un arzillo novantenne dalla memoria lucidissima. Infatti, il vecchio Salvatore racconta per filo e per segno come il giovane Salvatore sia sopravvissuto alla fucilazione di massa avvenuta quella mattina del 21 settembre: «Sentii solo una raffica di mitra e nulla più. Mentre il tempo e lo spazio apparivano a me dilatati, il proiettile stava ormai per concludere la sua corsa letale. Pensai, ci siamo! Nemmeno un grido per quella nube di sangue. Fu in questo momento che mi fucilarono». Queste parole dalla lucidità sconcertante danno il senso della storia quasi surreale vissuta dal giovane Salvatore. Uno dei dodicimila ragazzi che partirono per quella spedizione, l’unico che è tornato per raccontarlo.

 

Sull’isola e davanti al camino

La narrazione è un continuo parallelo fra la vita tranquilla dell’ormai anziano Salvatore, in una modesta casa, con un piccolo caminetto che emana solo qualche fiammella, una moglie dedita alla cucina e in continua ansia per il marito un po’ troppo esuberante per la sua età, e l’avventura vissuta sull’isola greca. Il passato lo racconta come se stesse avvenendo in quell’istante, permettendo al lettore di rivivere con lui quel momento agghiacciante: «Feüer! Fuoco! Fu quella l’ultima parola che potei udire prima di essere fucilato. […] Riuscii, come qualunque incurante spettatore, a rincorrere con lo sguardo le pallottole che mi avrebbero tolto la vita e quelle che avrebbero spezzato l’esistenza dei miei compagni». Con queste frasi sconcertanti l’autore getta il lettore nella storia, senza una precisa contestualizzazione temporale o spaziale. Ci si trova insieme al protagonista ad aspettare quelle pallottole, quasi ne sentiamo l’odore. «Le narici erano piene, sature d’un odore acre, forte, e tutta l’aria circostante era ormai impregnata di quel tanfo disgustoso […] ti penetrava nella pelle, quasi la si poteva toccare». Nemmeno a metà del primo capitolo, quando d’improvviso la narrazione ci riporta al presente, si capisce di cosa si stia parlando, è solo alla fine del capitolo stesso che si inizia a parlare di Isola della morte. L’autore è molto abile nel mantenere la tensione fino all’ultimo, in modo che il lettore sia impossibilitato a metter giù il libro, lo si potrebbe leggere tutto d’un fiato, senza sosta. La guerra viene vista da una duplice prospettiva, quella un po’ ingenua ma coraggiosa del ventiseienne Salvatore, e quella dell’ormai anziano e saggio Salvatore che, vicino al camino della sua piccola casa in campagna, ha ancora le lacrime agli occhi e il groppo in gola per gli amici persi in quel terribile giorno. Il giorno della sua rinascita, il protagonista si salva grazie ad un proiettile che devia la sua traiettoria verso la gamba di Salvatore, lasciandolo un po’ stordito ma vivo. Il giorno in cui lui e un altro miracolato, un altro Salvatore, sono scampati alla fucilazione per poter poi trovare insieme una via d’uscita: «Tese la mano al connazionale, si strinsero in un generoso e magnetico abbraccio. È proprio vero che ci si rende conto di ciò che importante soltanto in determinate circostanze». Ed è grazie al suo omonimo e ad alcuni abitanti dell’isola, che lo ribattezzano Sotyris, che Salvatore trova la via di casa e l’amore. 

 

Francesca Molinaro

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 17, gennaio 2009)


http://www.bottegascriptamanent.it/?modulo=Articolo&id=450